Bilancio 2026: la grande scommessa di Giorgia Meloni. Tagli alle tasse e una massiccia pace fiscale, finanziati sotto la minaccia del baratro da 40 miliardi di dollari del Superbonus.

L’immagine è composta con cura. Il Primo Ministro Giorgia Meloni, al centro, affiancata dai suoi due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, e dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. È una dimostrazione di unità, un messaggio di “serenità”, “buon senso” e “coesione”. Ma dietro questa facciata di lavoro di squadra, la conferenza stampa di presentazione della legge di bilancio 2026 ha rivelato un equilibrismo politico altamente acrobatico.
Il governo italiano ha approvato una manovra di bilancio da 18,7 miliardi di euro. Una cifra “più leggera” delle precedenti, come ha sottolineato Giorgia Meloni, ma che nasconde una realtà finanziaria vertiginosa. Perché questa manovra non è solo un piano per il futuro; è un’operazione di salvataggio infestata dal fantasma di una politica passata: il “Superbonus”.
Questo è il punto che il Primo Ministro ha ribadito fin dall’inizio, definendo il contesto prima ancora di elencare le sue priorità. “Nel 2026, le casse dello Stato sborseranno 40 miliardi di euro per il Superbonus”, ha dichiarato con espressione seria. “Si tratta di più del doppio dell’importo della legge che stiamo attualmente adottando”.
Il messaggio è chiaro: il governo Meloni è costretto a navigare in un oceano di debiti creato dai suoi predecessori. Questa manovra da 18,7 miliardi di dollari viene quindi presentata non come una manovra di bilancio espansiva, ma come un atto di “serietà” e “responsabilità” di fronte a un abisso finanziario che avrebbe potuto paralizzare il Paese.
Nonostante questo vincolo massiccio, il governo ha delineato quattro chiare priorità, nella “continuità” della sua azione. La prima, la più politica, è l’abbassamento delle tasse per la classe media e il sostegno ai salari. Questo è il cuore della promessa di Meloni. La misura di punta è un nuovo taglio dell’IRPEF (imposta sui redditi) per la classe media. L’aliquota per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro scenderà dal 35% al 33%. “Puntiamo sul ‘ceto medio’”, ha insistito Meloni, una misura che costa 2,8 miliardi di euro.

Allo stesso tempo, il governo sta affrontando il “problema salariale”, rispondendo indirettamente ai recenti avvertimenti del Presidente Sergio Mattarella. Mentre Meloni afferma che la tendenza si è già “invertita”, con i salari reali “che tornano a crescere più velocemente dell’inflazione”, aggiunge un nuovo strumento. I premi di produttività saranno tassati meno (dal 5% all’1%), così come i turni di notte e i giorni festivi. Ancora più importante, per i lavoratori a basso salario (fino a 28.000 euro), qualsiasi aumento ottenuto al rinnovo del contratto sarà tassato solo al 5%. Questo rappresenta un incentivo diretto per le aziende ad aumentare i salari più bassi.
La seconda priorità è l’identità stessa di questo governo: famiglia e natalità. Basandosi sulle misure passate (asilo nido gratuito a determinate condizioni, congedo parentale prolungato), Meloni aggiunge un nuovo principio fondamentale. La “prima casa” sarà ora esclusa dal calcolo dell’ISEE (l’indicatore della situazione economica equivalente).
È una piccola rivoluzione. In concreto, il valore della casa di famiglia non penalizzerà più le famiglie, anche quelle proprietarie, quando faranno domanda per prestazioni sociali come l’assegno unico o il bonus asili nido. “Abbiamo sempre detto che la prima casa è sacra, e stiamo applicando questo principio”, ha detto Meloni. Anche il bonus per le madri lavoratrici verrà aumentato.
La terza priorità è la sanità. Spesso accusato di trascurare il Servizio Sanitario Nazionale, il governo risponde con i numeri. Mentre era già previsto un aumento di 5 miliardi di euro per il 2026, il governo aggiunge altri 2,4 miliardi di euro, portando l’aumento complessivo del fondo sanitario a 7,4 miliardi di euro tra il 2025 e il 2026. L’obiettivo, secondo Meloni, è “rafforzare il settore” ma soprattutto finanziare assunzioni concrete: 6.300 infermieri e 1.000 medici in più, con significativi aumenti salariali (circa 1.630 euro all’anno per gli infermieri e 3.000 euro per i medici).
Infine, prosegue il sostegno alle imprese, con il rinnovo della ZES (Zona Economica Speciale) e la “sterilizzazione” delle impopolari tasse sulla “plastica” e sullo “zucchero” per tutto il 2026.
Ma la vera svolta di questa conferenza stampa non è venuta da Giorgia Meloni. È venuta dal suo vicepremier, Matteo Salvini. Visibilmente “molto soddisfatto”, il leader della Lega ha svelato la misura più populista e spettacolare di questa manovra: la “Pace Fiscale”.
Si tratta né più né meno di una “rottamazione” di tutti i debiti fiscali verso l’Agenzia delle Entrate accumulati fino al 2023. Riguarda, secondo Salvini, 16 milioni di italiani. Ha tenuto a precisare che non si tratta di una sanatoria per gli evasori fiscali (“esclusi coloro che non hanno mai presentato la dichiarazione dei redditi”), ma di una boccata d’ossigeno per chi ha dichiarato i propri redditi ma non è riuscito a pagarli “a causa del Covid, delle guerre, dei costi energetici, di un divorzio o di un problema di salute”.

Il meccanismo è semplice: sanzioni e interessi di mora vengono annullati. I contribuenti interessati potranno rimborsare il capitale dovuto (più gli interessi legali) in un arco di tempo molto lungo: 9 anni, in 108 rate mensili, senza un pagamento iniziale ingente. “Credo che da oggi molti italiani in difficoltà possano rivedere la luce”, ha dichiarato trionfante Salvini, definendo il provvedimento “una boccata d’ossigeno e di speranza”. Si tratta di un “patto di fiducia” che era, a suo dire, “nel programma della coalizione” e che cambia radicalmente la situazione rispetto ai precedenti tentativi, falliti a causa di scadenze troppo ravvicinate. Salvini ha inserito anche un altro provvedimento molto mirato: l’assistenza abitativa per i genitori separati, “il più delle volte, purtroppo, padri” che si ritrovano “a dormire in macchina”.
La domanda che rimaneva era: come finanziare tutto questo, soprattutto con la spada di Damocle dei 40 miliardi del Superbonus?
La risposta è un capolavoro di compromesso politico interno. Parte di essa deriva dai tagli alla spesa nei ministeri, con Meloni che ringrazia i suoi ministri per la loro “serietà”. Ma il “grosso” della copertura mediatica deriva, nelle sue parole, da un “contributo significativo da parte di istituti bancari e assicurativi”.
È qui che è emerso il gioco politico della coalizione. Antonio Tajani, leader di Forza Italia (un partito pro-imprenditorialità), ha preso la parola per congratularsi con se stesso. Non per ciò che è previsto dalla legge, ma per ciò che non lo è . “Non ci sarà alcuna tassa sugli ‘extraprofitti’ (delle banche)”, ha dichiarato, ringraziando esplicitamente Meloni e Giorgetti. Questa era la linea rossa del suo partito, che si opponeva a una misura “punitiva”.
Come ha fatto il governo a soddisfare Tajani e a far pagare le banche?
La risposta è arrivata dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che Meloni ha maliziosamente lasciato “in ostaggio” su questioni tecniche. Giorgetti ha confermato che, esclusa l’imposta sugli utili, il governo ha optato per altre misure, tra cui un aumento di due punti dell’IRAP per il settore finanziario.
Il ministro non ha fatto mistero della realtà dei negoziati. Ha ammesso che si tratta di misure che banche e assicurazioni “accettano, ma certamente non con buon umore”. “Le accettano con riluttanza (a malincuore)”, ha detto, prima di aggiungere, “ma come sappiamo perfettamente, quando si tassa qualcuno, quella persona di solito non è molto contenta”. Tuttavia, ha giustificato questa imposta descrivendola come “perfettamente sopportabile” per un “sistema bancario solido e molto redditizio”, citando i recenti elogi del governatore della Banca d’Italia.
La manovra di bilancio 2026 è quindi il risultato di un equilibrio complesso: Meloni impone la sua austerità prendendo di mira la classe media e le famiglie; Salvini si assicura una massiccia vittoria populista con la pace fiscale; e Tajani salva la faccia con il suo elettorato pro-business evitando il termine “extraprofitti”, anche se il risultato finanziario per le banche sarà simile. Tutto questo mantenendo l’attenzione sugli impegni internazionali, in particolare la difesa, che Meloni ha promesso di finanziare “senza sottrarre fondi ad altre priorità”.
Questa conferenza stampa è stata più una dimostrazione di forza politica che una presentazione di bilancio: quella di una coalizione capace di gestire le proprie contraddizioni interne per realizzare un progetto coerente, fiscalmente popolare e responsabile di fronte a un’eredità finanziaria disastrosa.
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