Bufera su Bruxelles: Meloni sfida l’Ue, chiede le dimissioni di von der Leyen e scuote le fondamenta dell’Europa

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L’Italia, sotto la guida di Giorgia Meloni, è diventata il nuovo epicentro di un terremoto politico che sta scuotendo le fondamenta stesse dell’Unione Europea. Quella che era iniziata come una feroce volontà di controllo dei flussi migratori si è trasformata in uno scontro diretto con le istituzioni di Bruxelles, culminando in una richiesta choc: le dimissioni di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea. Le parole sono forti, i fatti sono decisi e l’onda d’urto si sta diffondendo in tutto il continente, sollevando interrogativi fondamentali sull’identità, la sovranità e il futuro dell’Europa.

L’Italia dice “Basta!” all’immigrazione clandestina: misure drastiche nel Mediterraneo

Dall’aprile 2025, l’Italia ha cambiato decisamente rotta in materia di politica migratoria. Basta con procrastinazioni e compromessi, Meloni ha optato per un approccio duro, dichiarando unilateralmente guerra all’immigrazione clandestina. L’esercito italiano è stato schierato nel Mediterraneo con la missione di individuare, respingere e neutralizzare le imbarcazioni dei trafficanti. I motori vengono deliberatamente distrutti e le navi delle ONG, un tempo celebri, sono ora bloccate e non possono attraccare nei porti italiani. I trasgressori rischiano multe colossali, superiori a 900.000 euro, e persino pene detentive. Questa fermezza è stata dimostrata persino dall’invio di una lettera incendiaria alla SPD tedesca, minacciando di tagliare i finanziamenti alle ONG ritenute complici dei trafficanti.

Ma la strategia italiana va ancora oltre. La nuova legge sulla protezione delle frontiere, entrata in vigore nell’aprile 2025, esternalizza di fatto il confine italiano in Africa. In Albania sono stati istituiti centri di detenzione, trasformando il Paese in un’enclave italiana per l’esame delle domande di asilo. L’obiettivo è chiaro: impedire alle imbarcazioni dei trafficanti di lasciare le coste africane. Le pattuglie marittime bloccano le rotte, confiscano i motori o li gettano in mare. Chi riesce comunque a raggiungere l’Italia viene trattenuto e respinto. Il messaggio è inequivocabile: l’Europa non è self-service.

I risultati di questa politica “ferma” sono spettacolari. L’Italia, che investe 5 miliardi di euro all’anno in navi da guerra, droni, guardie costiere e accordi con paesi come la Libia, è riuscita a ridurre gli ingressi illegali del 60%, da 157.000 a 66.000. Questo clamoroso successo contrasta con la gestione della Germania, che è due volte più potente economicamente e spende solo 1,5 miliardi di euro per la protezione delle frontiere.

Il Patto europeo sulle migrazioni: la goccia che ha fatto traboccare il vaso

Questa determinazione italiana si è scontrata frontalmente con la volontà di Bruxelles di centralizzare la gestione delle migrazioni. L’Unione Europea ha presentato un nuovo patto migratorio, un piano così audace da provocare l’ira di Meloni. Questo meccanismo di “solidarietà obbligatoria” impone quote di migranti a ciascun Paese dell’UE, senza alcuna possibilità di negoziazione. I recalcitranti rischiano il congelamento dei fondi europei da parte di Bruxelles. Peggio ancora, è stata creata una “Camera europea per l’asilo” a Lussemburgo, in grado di annullare le decisioni nazionali in materia di asilo. Per Meloni, questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Bruxelles vuole decidere chi rimane in Italia, Polonia o Germania, contro la volontà dei governi sovrani.

La controffensiva di Meloni è stata “brillante”, affermano gli osservatori. Inizialmente ha respinto categoricamente il piano, definendolo “un affronto alla democrazia italiana”. Poi, con una scommessa audace, ha fatto trapelare che l’Italia prevedeva di accogliere 500.000 lavoratori stranieri entro il 2028, bilanciando fermezza e pragmatismo economico. È stata una mossa fallimentare che ha diviso la sinistra europea, incapace di attaccare Meloni come anti-immigrazione e anti-lavoratrice.

La vera battaglia si è svolta al Consiglio europeo. Il cancelliere Friedrich Merz, con malcelata arroganza, ha dichiarato: “L’Italia deve capire il suo posto nell’ordine europeo”. La replica di Meloni è stata caustica: “Signor Merz, l’Italia non è il parco giochi della Germania; siamo un Paese con una storia millenaria”. Secondo fonti interne, Merz è rimasto senza parole, mentre gli altri delegati sorridevano, segno che l’asse del potere in Europa si era spostato da Berlino alle nazioni sovrane.

La ribellione patriottica e l’isolamento di Macron

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Le conseguenze della politica di Meloni sono una spinta nazionale in Italia. Il 77% degli italiani la sostiene e persino i sindacati si schierano a sostegno del loro Primo Ministro, che “difende la patria”. Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca hanno immediatamente dichiarato la loro solidarietà e Viktor Orbán ha salutato Meloni come “difensore delle nazioni europee”.

Nel frattempo, in Francia, Emmanuel Macron si è piegato alle pressioni tedesche, schierandosi contro Meloni. Un errore strategico di cui Marine Le Pen ha approfittato, accusando Macron di aver dimostrato che la sua lealtà non è rivolta “alla Francia, ma a Bruxelles”. Il verdetto della Corte di Giustizia dell’UE, che ha dichiarato illegale la lista dei “paesi sicuri” dell’Italia, ha rappresentato una nuova opportunità per Meloni di condannare un sistema giudiziario che “indebolisce le politiche contro l’immigrazione clandestina”, un chiaro avvertimento alle élite dell’UE: “Non ci lasceremo imbavagliare”.

La Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen, è diventata il volto di questa crisi. Un burocrate non eletto, a capo di 60.000 dipendenti pubblici a Bruxelles, che impone norme come il Green Deal e il patto migratorio, ritenute soffocanti per gli Stati membri. La ribellione di Meloni riafferma che il patriottismo non è una parolaccia, ma un principio essenziale.

La minaccia delle sanzioni e lo spettro dell’“ItalExit”

Bruxelles è stata rapida a reagire. Von der Leyen ha minacciato l’Italia di sanzioni, il congelamento dei fondi e persino l’attivazione dell’articolo 7, che potrebbe privare l’Italia del diritto di voto. Ma questa risposta non fa che rafforzare la narrazione vittimistica di Meloni. I sondaggi mostrano che, di fronte a una minaccia esterna, il doppio degli italiani si schiera a favore del proprio governo.

L’umore in Italia sta cambiando. Sei mesi fa, pochi italiani avrebbero preso in considerazione un referendum sull’UE. Oggi, lo fa il 42%. Un’uscita dell’Italia, o “ItalExit”, sarebbe un terremoto per l’Unione, poiché la sua economia è tre volte più grande di quella greca. A Bruxelles cresce il panico, poiché un conflitto con l’Italia potrebbe distruggere le alleanze su difesa, migrazione e digitalizzazione. Persino all’interno del PPE, la fazione più numerosa al Parlamento europeo, gli eurodeputati italiani si stanno schierando a favore di Meloni.

Spagna, Polonia, Ungheria, persino Svezia e Danimarca, osservano attentamente la resistenza di Meloni, applaudendone la determinazione. I think tank stanno già valutando un’uscita parziale dall’UE. Ma un referendum richiede una maggioranza di due terzi in Parlamento, un compito arduo per Meloni. Rinvierà questo referendum prima delle elezioni anticipate per sfruttare la stanchezza nei confronti dell’UE? Ogni opzione è un gioco con il fuoco.

Quale futuro per l’Europa?

Lo scontro tra Roma e Bruxelles è una battaglia per l’identità, il controllo e il futuro dell’Europa. Per gli italiani, si tratta di lavoro, pensioni e vita quotidiana. Ma la domanda è molto più ampia: l’UE può sopravvivere se gli Stati membri rivendicano la loro sovranità, o il progetto è destinato al fallimento?

I critici delle politiche migratorie di Meloni avvertono che queste leggi severe potrebbero indebolire la posizione dell’Italia nell’UE e portare a una grave crisi umanitaria se i migranti continuassero ad arrivare nonostante tutto. Amnesty International ha parlato di abusi umanitari e Human Rights Watch ha denunciato l’”esternalizzazione immorale” delle frontiere. I costi iniziali dei centri di detenzione in Albania, che avrebbero dovuto elaborare 6.000 domande di asilo all’anno, sono saliti alle stelle, superando le aspettative e suscitando lo scherno dei contribuenti italiani. Inoltre, la Corte di Giustizia dell’UE ha dichiarato illegale la lista dei Paesi sicuri stilata dall’Italia, rendendo i trasferimenti verso l’Albania quasi impossibili.

Eppure, nonostante questi ostacoli, per gli italiani questi centri, anche vuoti, simboleggiano la volontà di non essere più il benvenuto dell’Europa. Le organizzazioni non governative sono nel mirino: la Sea Watch ha visto la sua nave Aurora ferma per 60 giorni in Sicilia, accusata di aver violato il codice di condotta, mentre altre hanno ricevuto pesanti multe. Meloni sostiene che queste navi siano “fattori di attrazione” che incoraggiano i trafficanti. La Corte Costituzionale italiana ha confermato queste sanzioni a luglio, una battuta d’arresto per le ONG ma un punto di luce per i riformisti.

L’Italia di Giorgia Meloni ci mostra come proteggere i confini e difendere gli interessi nazionali. Mentre la Germania “manda opuscoli”, l’Italia “manda imbarcazioni”. Il duello è aperto e potrebbe ridefinire la mappa politica del continente. Chi cederà per prima, Meloni o Bruxelles? Il futuro dell’Europa dipende da questo.