Ci sono momenti televisivi che, più di mille editoriali, riescono a catturare lo spirito del tempo, le sue tensioni e, talvolta, le sue assurdità. La televisione popolare, con i suoi salotti urlati e i suoi dibattiti infuocati, diventa uno specchio impietoso della società. È esattamente ciò che è accaduto in una recente, e ormai virale, puntata di “Dritto e Rovescio”, il programma condotto con piglio deciso da Paolo del Debbio su Rete 4.

Quella che doveva essere una seria discussione su un tema drammatico – la libertà di stampa e l’intimidazione ai danni del giornalista Sigfrido Ranucci – si è trasformata in un cortocircuito mediatico, culminato in un’accusa monolitica e in una reazione tanto inaspettata quanto fragorosa: una risata collettiva che ha sommerso l’accusatore.

Un episodio che, al di là della “figuraccia” del protagonista, rivela molto sul livello del dibattito pubblico italiano, sulla polarizzazione estrema e sulla facilità con cui la cronaca nera viene divorata dalla propaganda politica, trasformandosi in una “frottola” per “creduloni”.

Il Contesto: L’Ordigno a Ranucci e lo “Sciacallaggio” Politico

Per comprendere l’esplosione in studio, bisogna fare un passo indietro. Il dibattito era centrato sul misterioso ordigno rinvenuto sotto l’auto di Sigfrido Ranucci, volto simbolo di “Report”. Un fatto gravissimo, inquietante, che ha giustamente sollevato un’ondata di solidarietà e preoccupazione.

Come spesso accade in Italia, il fatto di cronaca è stato immediatamente cannibalizzato dallo scontro politico. Ancor prima che gli inquirenti potessero formulare ipotesi concrete – che, come emerso, spaziavano dalla criminalità organizzata, forse la mafia albanese, a piste ben lontane dalla politica nazionale – l’opposizione aveva già trovato il colpevole.

Leader come Giuseppe Conte ed Elly Schlein hanno cavalcato l’onda emotiva, non esitando a collegare l’intimidazione a un presunto “clima d’odio” fomentato dal governo. Si è parlato di “democrazia a rischio”, di un ritorno a tempi bui, puntando il dito, neanche troppo velatamente, contro “Giorgia” e l’esecutivo. Lo stesso Del Debbio, nel corso della puntata, non ha usato mezzi termini per definire questo approccio, parlando di un tentativo di “sciacallare allegramente” sul caso Ranucci.

È in questa atmosfera già surriscaldata, dove la ricerca della verità investigativa era già stata soppiantata da una guerra di narrazioni, che entra in scena l’ospite destinato a diventare il protagonista della serata.

L’Atto d’Accusa: “L’Italia, Peggior Paese d’Europa”

Del Debbio introduce in studio un giovane ospite, un attivista, presentandolo come una voce dell’opinione pubblica. Il ragazzo prende la parola e dipinge un quadro a tinte fosche, quasi apocalittico, della situazione italiana. Racconta di aver partecipato a una manifestazione di solidarietà davanti alla RAI (alla quale Ranucci stesso non avrebbe partecipato per motivi di sicurezza) e riferisce di un clima di terrore.

“Decine di giornalisti”, afferma con serietà, “avrebbero espresso apertamente la loro paura di fare il proprio mestiere oggi in Italia”. Ma l’affondo non si ferma qui. Citando non meglio specificati “rapporti continui di enti indipendenti”, l’attivista pronuncia la sua sentenza: “L’Italia è il peggior paese dell’Europa occidentale in termini di libertà di stampa”.

La tensione in studio è palpabile. Il giovane ha gettato sul tavolo l’accusa più grave: non solo c’è un problema, ma l’Italia sarebbe un buco nero per la democrazia, peggio di chiunque altro nel blocco occidentale. Ha creato la premessa perfetta per la domanda che ogni conduttore, specialmente Del Debbio, non vedeva l’ora di fare.

Il Climax: La Risata che Seppellisce l’Attivista

Con un tempismo teatrale, Paolo del Debbio pone la domanda cruciale, quella che tutti attendevano: “Ho capito. Ma di chi è la colpa di questa situazione?”.

La risposta del giovane è un fulmine a ciel sereno, una dichiarazione perentoria, senza sfumature, senza dubbi: “La colpa è della destra e dell’estrema destra”.

Silenzio. Per un istante, lo studio sembra trattenere il fiato. L’accusa è stata lanciata. È totale, definitiva. Ma quella che doveva essere una bomba a orologeria si trasforma in un petardo bagnato. L’atmosfera non si carica di indignazione o di assenso, ma si dissolve in qualcosa di completamente diverso.

Parte una risata. Prima soffocata, poi sempre più forte. È una risata fragorosa, incontrollabile, che si propaga tra il pubblico e gli ospiti. Le telecamere stringono impietosamente su Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d’Italia, che non riesce letteralmente a trattenere il divertimento. Anche Del Debbio, tra l’incredulo e lo stupito, fatica a mantenere la compostezza.

L’attivista, nel frattempo, rimane impassibile, quasi fiero della sua maglietta e della sua dichiarazione, forse non comprendendo che l’ilarità generale non è rivolta al tema, ma alla sconcertante semplicità della sua analisi. In un secondo, la sua denuncia è stata neutralizzata, trasformata in una “figuraccia” virale.

Analisi di una “Frottola”: Perché lo Studio Ha Riso?

Cosa è successo esattamente? Perché un’accusa così grave, in un contesto così teso, ha generato ilarità anziché dibattito? L’analisi offerta dal narratore della clip originale è spietata: quella dell’attivista è una “frottola”.

La risata, in questo contesto, è stata una reazione istintiva all’assurdità di ridurre un fenomeno complesso e criminale (un ordigno sotto un’auto) a una diretta e unica responsabilità politica (“la destra”). È stata la reazione di chi, abituato al teatro della politica, ha visto crollare l’impalcatura di una narrazione giudicata troppo debole e “credulona”.

Come sottolineato nel commento al vetriolo, la narrativa secondo cui “se la criminalità pone un ordigno, la colpa è del governo” può esistere solo in un contesto di tifo estremo, dove si è disposti a credere a tutto pur di confermare il proprio pregiudizio. Lo studio non ha riso della minaccia a Ranucci; ha riso del tentativo goffo e semplicistico di usarla come un’arma politica, un boomerang che è tornato dritto in faccia all’accusatore.

L’episodio, conclude l’analisi, è emblematico e riflette “come il livello del dibattito pubblico e la credulità in Italia siano molto più bassi di quanto si possa immaginare”.

La vera tragedia di questo siparietto è che, nella foga di trovare un colpevole politico, si è persa di vista la vittima (Ranucci) e il problema reale (l’intimidazione). Se la libertà di stampa è davvero a rischio in Italia – e lo è, spesso per mano delle mafie o attraverso querele temerarie, non necessariamente per volontà politica – uscite come quella dell’attivista non fanno che danneggiare la causa, rendendola una caricatura.

Quel momento, destinato a rimanere negli annali della TV-verità, non è stato solo lo scontro tra un attivista e uno studio televisivo. È stato lo scontro tra due realtà: quella complessa e sfaccettata delle indagini e quella pericolosamente semplice degli slogan. E per una volta, in diretta TV, la bolla della propaganda è scoppiata. A suon di risate.