Il terrificante segreto di uno Sugar Daddy ad Abidjan…

Ad Abidjan, le notti sono vibranti, illuminate dalle luci dei ristoranti di lusso e dal passaggio fugace di auto costose. Per Nadine, 21 anni, quelle luci rappresentavano un mondo lontano, un sogno irraggiungibile. Con un master fresco di stampa in tasca, la realtà era ben diversa: un lavoro da cameriera in uno di quei ristoranti sfarzosi, un sorriso professionale stampato sul viso e un futuro incerto. Aveva lasciato la casa di famiglia per “cercare se stessa”, ma si era ritrovata a servire tavoli, sognando una vita che sembrava appartenerle solo nelle pause.

Tutto cambiò una sera come tante. Mentre sparecchiava un tavolo, un uomo sulla cinquantina, elegante e dall’aria potente, la chiamò con un gesto. “Signorina, lei è davvero affascinante”, le disse con un sorriso che trasmetteva sicurezza. Nadine rispose con la cortesia di rito, ma quella sera, l’uomo lasciò sul tavolo qualcosa di tutt’altro che ordinario: una mancia da 50.000 franchi.

Nadine rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto una cifra simile lasciata per un servizio. Chi era quell’uomo? E perché quell’interesse così palese per lei?

Nei giorni successivi, il misterioso cliente divenne una presenza fissa. Tornava spesso, mangiava da solo e la fissava con lo stesso sorriso indecifrabile. Nadine continuava a servirlo, un misto di curiosità e disagio che cresceva dentro di lei. Una sera, finito il turno, lo trovò ad attenderla fuori dal ristorante. “Sali”, le disse, aprendo la portiera di un’auto lussuosa. “Voglio parlarti”.

L’esitazione di Nadine fu vinta da un’aggiunta rassicurante: “Non preoccuparti, non voglio farti del male”. L’interno dell’auto profumava di pelle e di un costoso profumo maschile. L’uomo parlò con voce calma, posata, mentre guidava nella notte. “Nadine, voglio una relazione seria con te”, le disse. “Posso cambiarti la vita. Guarda quelle ragazze che vedi in televisione. Hanno avuto la fortuna di incontrare uomini come me. Hanno accettato e hanno vinto. Anche tu puoi vincere”.

Le sue parole erano un miele seducente: parlava di soldi, di viaggi, persino di matrimonio. Nadine ascoltava, frastornata. Prima di lasciarla, le porse una busta. “Tieni. Compra quello di cui hai bisogno. Questo è solo l’inizio”. Dentro c’erano 100.000 franchi.

Iniziò così una strana routine. L’uomo passava a prenderla dopo il lavoro. Parlavano. Lui le costruiva davanti agli occhi l’immagine di un futuro dorato, e Nadine, intrappolata tra i sogni e la dura realtà del suo stipendio da cameriera, iniziava a cedere.

Ma i primi segnali d’allarme non tardarono ad arrivare. Una sera, mentre era in macchina, Nadine notò dei documenti sul sedile posteriore. Con un gesto furtivo, ne afferrò uno. Il cuore iniziò a batterle forte. Era la foto di una ragazza, sorridente, bellissima. Avrà avuto 22 anni. Sotto, un’altra foglio, un’altra foto. Una ragazza di 23 anni. Nadine sfogliò velocemente: almeno cinque volti diversi, tutti giovani e sorridenti.

“Chi sono tutte queste ragazze?”, chiese, cercando di mascherare il tremito nella voce. L’uomo la guardò dallo specchietto retrovisore. “Sono amiche”, rispose con noncuranza. “Giovani ragazze che ho aiutato”. Sorrise, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma Nadine sentì un brivido correrle lungo la schiena.

La trappola si stava stringendo, e si presentò sotto forma di un’altra busta. “Nadine, voglio fare le cose seriamente”, le disse una sera. “Non voglio portare malattie alla mia famiglia. Rispetto mia moglie e voglio rispettare anche te”. Le mise in grembo una busta pesante. “Vai a fare tutti gli esami necessari. Se è tutto a posto, ci metteremo insieme”.

Questa volta, la busta conteneva 300.000 franchi. Una cifra enorme per dei semplici test medici. Il cuore di Nadine batteva all’impazzata. Quell’uomo parlava di matrimonio, ma anche di rispettare sua moglie. La logica si stava incrinando. “Perché così tanti soldi per questo?”, chiese lei. “Perché voglio fare le cose per bene”, rispose lui, serio. Ma il disagio di Nadine si era ormai trasformato in un nodo allo stomaco.

Fatti gli esami, risultati tutti negativi, l’uomo sembrò soddisfatto. Ma fu allora che iniziò la vera stranezza. Una sera, in macchina, mentre parlava con la sua solita calma, la sua mano scese verso i pantaloni di Nadine. “Cosa fai?”, chiese lei, sorpresa. “Voglio solo accarezzarti”, rispose lui. Continuò, ma poi si fermò di colpo. Il suo tono divenne serio, quasi contrariato. “Non hai i peli. Perché?”.

Nadine, imbarazzata, spiegò: “A me piace così, rasata”. Lui scosse la testa. “No. A me piace quando una donna li tiene. Non raderti più”.

Quella richiesta divenne un’ossessione. Da quel giorno, iniziò a controllarla ogni volta. Si rifiutava di avere qualsiasi intimità finché i peli non fossero ricresciuti. Era un’imposizione che faceva sentire Nadine osservata, piégée, privata del controllo sul suo stesso corpo. Così, un giorno, in un atto di ribellione, rase via tutto.

Quella sera, l’uomo la venne a prendere come al solito. Era silenzioso. Poi, le posò di nuovo la mano addosso. Il suo tocco fu diverso. “Hai rasato tutto”, non era una domanda, ma una constatazione carica di rabbia. “Sì, preferisco così”, rispose lei, cercando di essere ferma.

Il suo viso cambiò all’istante. Gli occhi diventarono rossi, le mani iniziarono a tremare. “Perché mi hai disubbidito?”, urlò. Colpì il volante con un pugno. Nadine era terrorizzata. “Ma sono solo peli!”, protestò. “Esci!”, le ordinò lui con una voce glaciale. La abbandonò lì, da sola, nel buio della notte.

Quella notte, Nadine non riuscì a dormire. La rabbia furiosa di quell’uomo l’aveva terrorizzata. Verso le tre del mattino, si assopì e fece un sogno terribile. Si vedeva sdraiata, come se una telecamera le stesse entrando nello stomaco. All’interno, vedeva solo sangue, macchie rosse ovunque. Si svegliò di soprassalto, tremando.

La mattina dopo, raccontò tutto a sua madre, una donna molto credente. La madre aggrottò le sopracciglia. “Figlia mia”, disse con voce grave, “c’è qualcosa di malvagio dietro quest’uomo. Stai attenta. Sento che vogliono prenderti, vogliono il tuo sangue”. “Il mio sangue? Ma perché?”. “Queste storie di rituali, di sacrifici… Molti uomini lo fanno oggi per avere soldi. Se vai a letto con lui, può usarti”.

L’avvertimento della madre era agghiacciante, ma Nadine sapeva che l’uomo non l’avrebbe lasciata andare facilmente. Pochi giorni dopo, infatti, il telefono squillò. Era lui. La sua voce era diversa, tremava. “Nadine, mia madre è all’ospedale. È tra la vita e la morte. Vieni, ho bisogno di te”.

Nadine era combattuta. Sua madre le aveva detto di tagliare i ponti. Ma se fosse stato vero? Se avesse avuto davvero bisogno di aiuto? La sua compassione ebbe la meglio. Prese un taxi e lo raggiunse all’ospedale. Lui era lì, sembrava stanco, preoccupato. Si sedettero nella sua auto, nel parcheggio. Nadine si aspettava di parlare della madre malata, ma lui la gelò.

“Nadine, prima di tutto, voglio che facciamo l’amore”. Lei si voltò di scatto, scioccata. “Cosa? Qui? Adesso? Mentre tua madre sta morendo?”. Lui insistette, lo sguardo cupo. “Non è possibile”, disse lei, con voce ferma. L’uomo cambiò tattica. “Solo una volta. Lasciami fare qualcosa. Non ti chiedo tutto. Solo una cosa”. “Quale cosa?”, chiese lei, diffidente. Lui esitò, poi abbassò la voce fino a un sussurro. “Lasciami mettere un piccolo oggetto all’interno. È solo per proteggermi”.

Fu la fine. Il sogno, le parole di sua madre, l’ossessione per i peli, e ora quella richiesta assurda. “Proteggerti da cosa?”, gridò. Aprì la portiera e scappò via. “Non è normale!”, gridò mentre si allontanava. Lui la guardò andare via, gli occhi pieni di una rabbia fredda.

La mattina dopo, il telefono squillò di nuovo. Era lui. La sua voce era piatta, priva di emozioni. “Mia madre è morta”. Nadine rimase in silenzio. “Mi… mi dispiace”, riuscì a balbettare. Lui riattaccò. Un brivido la percorse. I soldi, le richieste, l’oggetto, e ora la morte della madre, avvenuta subito dopo il suo rifiuto. E se… e se qualcuno avesse dovuto morire al suo posto?

Per mesi, Nadine non lo sentì più. Riprese la sua vita, il suo lavoro al ristorante, cercando di dimenticare. Ma una sera, un numero sconosciuto la chiamò. “Nadine. Sono io”. Il cuore le fece un balzo. “Perché mi chiami?”. “Lavori ancora al ristorante?”, chiese lui. “Dobbiamo vederci. Ho delle cose da dirti”.

Qualcosa le diceva di non andare, ma la curiosità e il bisogno di capire erano troppo forti. Si incontrarono in un piccolo caffè. Lui sembrava invecchiato, stanco, ma i suoi occhi erano sempre gli stessi. Freddi. “Nadine, tu non capisci, vero?”, le disse a bassa voce. “Capire cosa?”. Lui la guardò dritta negli occhi. La sua confessione fu un colpo al cuore. “Quel giorno, all’ospedale… se tu avessi accettato, non sarebbe stata mia madre a morire”. Nadine sentì il sangue gelarsi. “Cosa… cosa stai dicendo? Che sarei dovuta essere io?”. Lui annuì lentamente. “Avevo bisogno di un sacrificio. Una vita per un’altra. Tu hai rifiutato. Così, se n’è andata lei”.

Nadine si alzò di scatto, tremando, le lacrime che le bruciavano gli occhi. Il puzzle era completo. Le foto di quelle ragazze sorridenti, “amiche” che aveva aiutato. “Ne ho già trovata un’altra”, lo aveva sentito dire una volta al telefono. Non era l’unica. Forse, prima di lei, altre avevano accettato. Altre avevano pagato il prezzo.

Corse via dal caffè, senza fiato. Aveva camminato sull’orlo del baratro senza saperlo. Aveva scambiato un rituale di morte per un capriccio da “sugar daddy”. Aveva capito che le belle parole, le promesse di una vita facile, possono nascondere trappole mortali. E che alcuni uomini, per la loro ricchezza, sono disposti a pagare con il sangue degli altri.