“Mai più”. L’annuncio di Giorgia Meloni sui film: cosa c’entra Claudio Amendola

 

Giorgia Meloni torna a puntare il dito contro il sistema di finanziamenti pubblici al cinema, denunciando pubblicamente storture e sprechi che, a suo dire, si sono moltiplicati nel corso degli ultimi anni. Lo ha fatto in maniera decisa prima con un messaggio pubblicato su X e poi nel corso di un’intervista concessa a Bruno Vespa al “Forum in Masseria 2025”, dove ha ribadito con fermezza l’intenzione del governo di riformare radicalmente il settore. Il cuore della questione, secondo la premier, è la mancanza di trasparenza e meritocrazia in un mondo che, sebbene vitale per la cultura italiana, rischia di trasformarsi in un “buco nero” di risorse pubbliche

 

Meloni ha messo sotto accusa, in particolare, il meccanismo del tax credit, uno strumento pensato per incentivare la produzione audiovisiva ma che – a detta della leader di Fratelli d’Italia – avrebbe finito per diventare terreno fertile per sprechi e operazioni poco chiare. I numeri forniti sono eloquenti: sette miliardi di euro spesi dallo Stato in otto anni, spesso a beneficio di produzioni che non hanno incontrato né il pubblico né la critica, ma che hanno garantito cachet milionari a registi, attori e sceneggiatori. “Serve un sistema più equo, che premi il merito e non le solite rendite di posizione”, ha affermato Meloni.

“Mai più”. L’annuncio di Giorgia Meloni sui film: cosa c’entra Claudio Amendola

A rendere il discorso ancora più concreto ci hanno pensato alcuni esempi citati dalla stessa presidente del Consiglio. Uno dei casi più emblematici, secondo Meloni, è quello del film “I Cassamortari” diretto da Claudio Amendola, che ha ricevuto 1,25 milioni di euro di fondi pubblici ma ha incassato al botteghino appena 490 euro, nonostante un cast composto da volti noti del cinema italiano come Massimo Ghini Gianmarco Tognazzi. Un altro titolo, rimasto senza nome ma riportato come esempio, avrebbe raccolto solo 47 mila euro d’incasso a fronte di un contributo statale di 400 mila euro. “Questi sono numeri che parlano da soli”, ha commentato la premier.

Il caso più spinoso resta però quello legato alla cosiddetta “truffa Kauffman”, citato da Meloni come paradigma delle distorsioni del sistema. Senza entrare nei dettagli giudiziari, la premier ha voluto comunque usare questo esempio per rafforzare l’idea che “le falle normative e i controlli inesistenti” abbiano aperto la strada a vere e proprie frodi ai danni dello Stato. Da qui nasce la riforma già messa in cantiere dall’esecutivo, che prevede paletti più stringenti: tetto ai compensi per gli artisti coinvolti in produzioni sovvenzionate, verifiche più severe sulle spese e l’introduzione di sanzioni per chi aggira le regole.

“Non si tratta di penalizzare il cinema”, ha spiegato Meloni, “ma di valorizzarlo davvero, premiando chi sa produrre qualità, non chi approfitta dei soldi pubblici per fare affari privati”. L’intenzione dichiarata è quella di sostenere chi ha talento e visione, non chi vive all’ombra di meccanismi opachi o di amicizie consolidate. Un cambiamento che, se applicato con rigore, potrebbe segnare un vero spartiacque per il mondo audiovisivo italiano, aprendo una nuova stagione di rigore, selezione e, forse, anche di rinascita.